Il Presidente della Fondazione Mezzogiorno interviene al Festival dell’Economia di Trento.
Cinque anni da dimenticare per il sistema economico e sociale europeo. Cinque anni che hanno segnato in maniera profonda la stabilità sociale, accentuato la polarizzazione politica verso gli estremi, riportato la guerra nel cuore del continente. Cinque anni che seguono almeno tre lustri segnati dal male oscuro della deindustrializzazione e da quella rincorsa ideologica verso im “green deal” che, di fatto, si è trasformato in un “black deal”. Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria e Ceo di Seda International Packaging Group, sintetizza, in maniera pragmatica e senza giri di parole la progressiva deindustrialimazione di quello che, un tempo, era il mercato più ricco del pianeta. E lo fa confrontandosi con Gian Maria Gros Pietro, economista e presidente di Banca Intesa, il primo istituto di credito italiano, nella seconda giornata del festival dell’Economia di Trento. Il tema del dibattito, moderato da Adriana Cerretelli, è quello della transizione green. Nessuno mette in dubbio l’emergenza climatica, chiarisce subito D’Amato, che rispedisce al mittente le accuse di “negazionismo”.

Ma la “dottrina” di Frans Timmermans, il commissario Ue per il green deal, ha portato conseguenze pesanti sull’apparato produttivo senza reali effetti sull’ambiente. Un esempio per tutti, il passaggio all’auto elettrica: ci si è fermati a “guardare” nelle marmitte senza considerare l’impatto e i costi della produzione di elettricità o dell’estrazione del litio per le batterie. Ma la stessa cosa è avvenuta per l’energia, con un dannoso andirivieni di decisioni prese e di frettolose retromarce: dal gas al nucleare, fmo al ritorno del carbone. Lasciando quindi scivolare il dibattito sull’autonomia e l’indipendenza energetica nelle sabbia mobili delle posizioni ideologiche, al di fuori di ogni considerazione scientifica.
Eppure, spiega d’Amato, “il sistema industriale europeo è quello che ha fatto i maggiori passi avanti nella riduzione dell’impronta carbonica, con mi calo del 35% in 25 anni, con l’Italia leader mondiale sul fronte dell’economia circolare». Un primato difeso a denti stretti e con un forte gioco di squadra da chi, in Europa, ha tentato nei mesi scorsi di smantellarlo bruciando miliardi di investimenti già effettuati e mettendo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il problema, come ha sottolineato Gros Pietro è quello di rendere “tollerabile” la transizione, per evitare che norme troppo restrittive o veloci portino a episodi violenti come quelli del gilet gialli in Francia. Per una transizione “sostenibile” dal punto di vista economico e sociale si deve partire da una politica che abbia, al suo centro, la manifattura. “La storia insegna che non ci può essere ricerca e innovazione senza sviluppo industriale”. Per centrare questo obiettivo, però, D’Amato sottolinea anche la necessità di un cambio di passo sul versante della governane europea, attualmente troppo sbilanciata su “una commissione che è composta da membri non eletti e che spesso prendono decisioni seguendo logiche “opache” o, peggio ancora, facendo gli interessi di una sola parte”. Occorre dare, insomma, maggiori spazi al Parlamento, che dovrebbe avere anche un potere legislativo, oggi tutto nelle mani dell’esecutivo comunitario . “E’ necessario reindustrializzare l’Europa, ristabilire il primato della scienza sull’ideologia e tornare a guidare la locomotiva dello sviluppo e della sostenibilità del Pianeta, anche esportando all’estero il suo know how – ha concluso D’Amato – Bisogna punta su industrie innovative, competitive e di qualità. Altrimenti il rischio è di accumulare tensioni che nessuno di noi può affrontare”.